Ventitreesimo Giorno - 8 Ottobre 2013
Washington DC - Arlington - Dulles Airport
"Il viaggio non finisce mai, solo i viaggiatori finiscono." (José Saramago)
Ultimo giorno negli Stati Uniti, giorno di partenza verso casa. Con questa giornata il viaggio negli Stati Uniti si conclude, ma noi non siamo tristi. Il viaggio è stato a dir poco
fantastico e abbiamo accumulato un carico di emozioni che ancora devono essere metabolizzate. Per come siamo stati e stiamo bene, rimarremmo ancora a lungo, ma le cose da raccontare sono
tantissime e anche la voglia di tornare a casa per vivere i frutti di questa esperienza è tanta. Con un misto di dispiacere, nostalgia, soddisfazione e impazienza ci alziamo
dall'ultimo letto degli Stati Uniti e finalizziamo la preparazione dei bagagli: da questo momento non avremo più alcun appoggio, tranne la nostra auto, per sistemare le cose.
Nell'hotel si stava svolgendo una conferenza e c'era un po' di confusione e tanta gente. Decidiamo comunque che avremmo provato la colazione in hotel, scelta che si è rivelata giusta
perché abbiamo scoperto che per gli ospiti dell'hotel c'è una sala riservata e perché la colazione, anche se a pagamento, è ottima. Mangiamo con molta calma, tanto il volo sarebbe
partito la sera alle 21.50 e noi non avevamo programmi particolarmente impegnativi. Prima di recarci all'aeroporto, in netto anticipo per evitare problemi, faremo una visita al
famoso Cimitero Nazionale di Arlington, che è stato designato nel 1864 come cimitero militare e dove sono sepolti, oltre alla famiglia Kennedy, 300000 tra soldati e ufficiali.
Finiamo quindi di fare colazione, carichiamo i bagagli in macchina e con un po' di rassegnazione partiamo verso la Virginia, quindicesimo ed ultimo stato del nostro viaggio.
Il percorso dal campus della Gallaudet University ad Arlington è breve e dopo appena 15 minuti, passate da poco le 11.30, lasciamo la macchina nel parcheggio ufficiale del cimitero
ed entriamo. Rimaniamo subito impressionati dalla enorme quantità di lapidi bianche che si estendono a perdita d'occhio su ampie distese di prato verdissimo. Su ogni lapide è
riportato nome e grado del militare morto e le tombe degli ufficiali si riconoscono perché sono più grandi e presentano sculture più elaborate. Mentre ci guardiamo intorno incuriositi
da quel mare di lapidi, sentiamo dei colpi: "sono i cannoni a salve, ci deve essere un funerale". All'inizio non ci credevamo più di tanto, ma poi abbiamo visto un gruppo di persone
riunite in un punto del cimitero che attendevano ed un agente della sicurezza molto severo e minaccioso che deviava i turisti e ci siamo convinti; stavamo assistendo ad un funerale
di un alto ufficiale il cui feretro era trasportato su una carrozza trainata dai cavalli. Restiamo a guardare, anche se da lontano e con rispetto, insieme ad un branco di turisti
indisciplinati che facevano una foto dietro l'altra anche se la guardia severissima (e molto convinta) glielo vietava continuamente. Lo "spettacolo" si fa più interessante quando
quello che sembrava un finto agente dei servizi segreti ci fa spostare per fare strada a 4 cavalli condotti da altrettanti soldati in alta uniforme con passo solenne che facevano
da picchetto al funerale. Uno spettacolo che non ci aspettavamo di vedere: anche oggi una "fortuna" anche se, probabilmente, i parenti dell'ufficiale morto non la pensavano così.
Continuiamo il giro del cimitero con la visita alle tombe di Kennedy e sua moglie, davanti alle quali arde una fiamma perpetua e dove è obbligatorio osservare il silenzio assoluto;
putroppo la fiamma era in restauro, ma siamo comunque riusciti a vedere la lapide del famoso presidente assassinato nel 1963. La tappa finale nel cimitero non poteva che essere il
la Tomba del Milite Ignoto, che contiene i resti di un militare morto in guerra, il cui corpo non è stato identificato e che si pensa non potrà mai essere identificato. Come in
molti paesi del mondo è una tomba simbolica che rappresenta tutti coloro che sono morti in un conflitto e che non sono mai stati identificati. La tomba del milite ignoto è vigilata
24 ore su 24, 365 giorni all’anno da un picchetto d'onore effettuato a turni. Il soldato scelto, che normalmente considera la cosa come un privilegio, compie lo stesso percorso
avanti e indietro per tutto il turno, fino al cambio. Noi non abbiamo avuto la fortuna né il tempo di vedere il cambio, ma ci siamo accontentati comunque. Usciamo dal cimitero
osservando alcune lapidi da vicino e cercando di capire le gesta di alcuni soldati e ufficiali sepolti e ci dirigiamo verso il centro turistico per capire cos'altro c'è da vedere.
Scopriamo di essere a meno di un chilometro di distanza dall'edificio del Pentagono, ma purtroppo non abbiamo tempo per andarlo a visitare e probabilmente non sarebbe cosa facile.
Decidiamo però di fare una passeggiata a piedi fino al celebre Marine Corps World Memorial, conosciuto come Monumento di Iwo Jima, che ricorda la battaglia sull'isola del Pacifico
di Iwo Jima e che rappresenta alcuni soldati intenti ad issare una bandiera americana sulla vetta del monte Suribachi. Per raggiungere il monumento a piedi dal cimitero c'è da
camminare circa un quarto d'ora su un apposito percorso pedonale che porta sulla collina del monumento, costeggiando dall'esterno tutto il perimetro del cimitero. Arrivati al
monumento facciamo qualche foto e ci riposiamo prima di decidere ti tornare indietro. Erano quasi le 14 e iniziavamo anche ad avere fame anche grazie alla camminata di oltre 2 ore
che avevamo fatto fino a quel momento. Rassegnati ormai all'idea che il nostro viaggio si stava concludendo, decidiamo che è l'ora di tornare alla macchina per dirigerci verso
l'aeroporto e magari fermarci a mangiare, visto che avremmo comunque dovuto compiere qualche pratica prima di partire, come la riconsegna dell'auto e non sapevamo quanto tempo
avremmo impiegato. E' vero che avremmo continuato all'infinito quel viaggio, ma l'idea di perdere l'aereo del ritorno non era molto piacevole. Torniamo quindi alla macchina,
paghiamo il parcheggio e prendiamo la highway in direzione dell'aeroporto, sperando di trovare nel tragitto un posto dove mangiare: erano i nostri ultimi chilometri di guida negli
Stati Uniti. Purtroppo la strada per l'aeroporto non ci ha offerto alcuna occasione di fermarci a mangiare e intorno alle 15 eravamo già arrivati all'ingresso dell'autonoleggio. Per
entrare nella zona di restituzione delle vetture abbiamo titubato un po' perché in terra, in corrispondenza del passaggio delle auto, c'erano gli spuntoni trancia-pneumatici e
sembrava non ci fosse modo per superare la soglia. In realtà, come ci siamo accorti dopo poco, i trancia-pneumatici erano orientati in modo che si potesse entrare senza problemi
ma non uscire, pena la foratura delle ruote. Entriamo, fermiamo la macchina secondo le indicazioni degli addetti e scendiamo. Eccoci al primo momento triste, nel quale abbiamo
dovuto dare l'ultimo saluto alla nostra fedele e ormai cara compagna di viaggio. Il primo giorno avevamo scelto quella macchina perché ci sembrava la migliore e perché il colore
ci permetteva di distinguerci. Non avremmo potuto fare scelta migliore e ci siamo guardati, fieri di questa parte di successo, che ha contribuito all'indiscutibile successo
complessivo del viaggio. Mentre scarichiamo i nostri bagagli un addetto dell'autonoleggio mi fa notare un piccolo e quasi invisibile coccio sulla fiancata anteriore sinistra che non
ci eravamo assolutamente accorti di aver fatto: probabilmente era successo qualcosa quando la macchina era parcheggiata... da qualche parte negli Stati Uniti! Poco male comunque,
perché avevamo la copertura assicurativa completa. Salutata la nostra macchina ci dirigiamo con la navetta verso la'area delle partenze dell'aeroporto, dove un lungo
periodo di attesa ci aspettava.
Una cosa mancava e ce ne stavamo accorgendo senza problemi: non avevamo mangiato! Scegliamo quindi l'unico ristorante in quell'area e ci sediamo con calma a mangiare un'insalatona
ricca, anche in questo caso l'ultima della nostra esperienza negli Stati Uniti. Passate le 16 ci alziamo da tavola e iniziamo a preoccuparci del peso delle valigie, cercando
una bilancia per capire se tutto fosse in regola. Mentre ci avvicinavamo al banco del check-in per usare le bilance come si fa in Italia, un tizio ci chiama indicandoci una
bilancia che scopriamo essere di una compagnia aerea. Metto la mia valigia sopra la bilancia e subito mi spavento: segnava 48.8 e il limite di peso era 23 Kg. All'inizio ci siamo
rimasti un po' male, ma poi ci siamo ricordati che da quelle parti l'unità di misura è libbre. Cerchiamo su internet la conversione e ci mettiamo l'anima in pace: 23 Kg sono 50
libbre, come poi confermato dalla signorina di Air France. Tranquillizzati facciamo tutti i controlli di sicurezza, saliamo sul treno interno all'aeroporto e ci dirigiamo al
terminal dal quale sarebbe partito il nostro aereo. Le ore di attesa alla fine sono passate bene, perché il nostro terminal è un lunghissimo corridoio pieno di negozi, molti dei
quali di souvenir. Anche in quel caso non abbiamo saputo fare a meno di comprare qualche cavolata e di riempire i nostri già consistenti bagagli a mano. Finalmente arriva l'ora
di salire sul nostro volo che, intorno alle 22, decolla praticamente puntuale. Stavamo lasciando gli Stati Uniti, il nostro viaggio era veramente concluso. Nel momento in cui scrivo
questo racconto, oltre 5 mesi dopo il ritorno, l'emozione nel pensare a quei momenti è fortissima e quasi mi commuovo al pensiero della grande avventura che stavamo concludendo.
Tuttavia, in quel momento, eravamo presi dall'idea di dover tornare a casa e non vedevamo l'ora di arrivare e concludere il lungo viaggio di ritorno: avremmo poi avuto tanto tempo
per ripensare a quegli splendidi 23 giorni appena conclusi.
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