IL VIAGGIO
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Dodicesimo Giorno - 27 Settembre 2013
Richfield - Arches NP - Monticello


"Una volta che hai viaggiato, il viaggio non finisce mai, ma si ripete infinite volta negli angoli più silenziosi della mente. La mente non sa separarsi dal viaggio." (Pat Conroy)


La bellezza dei paesaggi che abbiamo potuto ammirare fino ad oggi ci è stata mostrata nel suo completo splendore grazie al meteo che ci ha sempre regalato delle giornate favolose, con un cielo limpido e sole splendente. Ma oggi no, o almeno così sembra. Esaurito da tempo l'effetto del jet lag, alzarsi ad un'ora decente comincia a diventare una fatica; anche se la sera rusciamo sempre ad andare a letto presto, infatti, le fatiche della giornata richiederebbero di prolungare il sonno. Ovviamente non siamo in America per dormire e anche oggi, ancora carichi di entusiasmo, usciamo dal motel di prima mattina. A Richfield c'è freddo e pioviscola, il cielo è grigio e le montagne tutto intorno a noi sono ricoperte di neve a partire da un'altitudine superiore alla nostra di qualche centinaio di metri. "Menomale che non ha nevicato anche qui, più in basso" ho pensato (e forse detto) perché sarebbe stato un problema.
Dispiaciuti ma allo stesso tempo affascinati dalla condizione meteo diversa dal solito, ci avviamo su Main Street, verso l'ingresso per la Interstate 70, nell'intento, miseramente fallito, di cercare un posto dove fare colazione. Decidiamo quindi di prendere la Interstate 70 in direzione nord-est e di fermarci non appena fossimo riusciti a scorgere un'oasi dove soddisfare la nostra fame mattutina, in rapida crescita. Dopo appena 20 minuti di viaggio di fronte a noi compare un nome, causa della secrezione di un'ingente quantità di endorfine e succhi gastrici: "Denny's". Eravamo a Salina, Utah, e un cartello diceva "No services for next 100 miles". E' ovvio che abbiamo deciso di fermarci e che ci siamo nuovamente concessi una bella colazione da campioni a base di omelette, salsicce e quant'altro (compresa l'immancabile frutta per Massi), in compagnia di un gruppo di camionisti che pare si fossero messi d'accordo per trovarsi insieme a colazione.
Soddisfatti dalla mangiata abbondante saliamo nuovamente in macchina per riprendere la I-70 verso est, dove ci avrebbe aspettati un bel tratto di zona deserta senza alcun tipo di servizio. In generale questo non sarebbe stato un problema, ma Massimo ormai aveva trasformato il suo metabolismo (sempre dando la colpa al caffè di Denny's) in quello di un cane e ad ogni palo aveva bisogno di fermarsi per marcare il territorio. Ben presto però è un'altra preoccupazione a segnare quel tratto di viaggio. Stavamo attraversando le montagne rocciose e, man mano che procedevamo, quella linea che separava il terreno asciutto da quello innevato scendeva sempre più minacciosamente verso di noi fino a che, dopo qualche miglio, non ci siamo ritrovati in un paesaggio completamente imbiancato. La preoccupazione più grossa era quella di trovare neve sulla strada, per la quale non eravamo assolutamente attrezzati. Fortunatamente il tratto da noi definito "da settimana bianca" è passato, tra ansia e risate, senza causarci alcun disagio e presto, procedendo verso est e scendendo di quota, la neve è scomparsa e un timido sole ha iniziato a farsi largo tra le nubi. "La nostra solita fortuna", ci siamo detti, ed era assolutamente vero. Il tratto di Interstate 70 che abbiamo percorso dopo attraversa un vastissimo altopiano di deserto roccioso nel quale si aprono dei canyon profondi e che si erge a precipizio sulle vallate circostanti. Per noi è impressionante vedere quell'infinità di niente tutto intorno a noi; nessun insediamento umano, niente pascoli, niente case, niente strade oltre alla nostra, niente alberi né pali né tralicci, nulla di nulla a perdita d'occhio per decine e decine di chilometri. In realtà il nulla circostante è interrotto da alcuni "Overlook point" che fanno da aree di sosta e contengono, per la gioia di Massimo, anche dei bagni pubblici. "Cessi", bisognerebbe dire, perché non c'è acqua, c'è solo una seduta che assomiglia ad un water che sbocca all'interno di una fossa biologica a secco. D'altra parte siamo nel bel mezzo del nulla e non possiamo pretendere che ci siano i tubi dell'acquedotto, quindi ci adattiamo. Una volta parcheggiata la macchina nelle aree di sosta, è necessario prepararsi psicologicamente a ciò che vedremo una volta superato il parcheggio e raggiunto il punto panoramico; questo l'abbiamo scoperto a nostre spese quando, raggiunto il primo "overlook point", siamo andati a vedere cosa c'era poco più in là dei bagni per rimanere totalmente esterrefatti da ciò che si presentava di fronte a noi. E' difficile descrivere le emozioni che si vivono trovandosi improvvisamente sul bordo di un precipizio alto centinaia di metri che si erge su un'immensa valle fatta di sabbia e roccia e dipinta di colori che variano dal rosso al giallo al grigio; è difficile esprimere la sensazione che si prova stando seduti su una roccia a picco dalla quale si domina tutta la valle, ormai illuminata dal sole, che si estende fino ad un'orizzonte che pare lontano centinaia di chilometri. Come il giorno prima, siamo rimasti senza parole di fronte a tanta maestosità fino a quando, facendo forza sulle nostre volontà, siamo risaliti in macchina per proseguire il viaggio. Fino al successivo "Overlook point", ovviamente. Anche se popolato da isolate nubi bianche, ormai il cielo era limpido e il sole illuminava come al solito i paesaggi che si presentavano davanti a noi. Nonostante un forte vento freddo che metteva a dura prova la nostra capacità di resistenza, vestiti leggeri com'eravamo dati i 45 gradi dei giorni precedenti, abbiamo esplorato ogni successivo punto panoramico lungo la strada, ormai preparati a rimanere estasiati. Tra vallate e canyon e tra uno stupore e l'altro, finalmente arriviamo nei pressi di "Green River", qualcosa che sembra un piccolo centro abitato e che ci dice che poco dopo avremmo dovuto abbandonare la Interstate per prendere la statale 91 verso sud che ci avrebbe portati all'Arches National Park e poi al motel di Monticello.
Arriviamo al Parco Nazionale degli Archi nel primissimo pomeriggio scorgendo all'orizzonte, in tutte le direzioni, cumuli di nubi grigie che riversano sul terreno sottostante delle copiose quantità di pioggia; ma sopra di noi c'è il sole e rimarchiamo ancora in modo molto colorito e tipicamente pisano la quantità di fortuna di cui siamo dotati. Il parco è famoso per le sue rocce a forma di arco che sono state scolpite nel corso dei millenni dal vento che, in quei luoghi, soffia continuamente e forte alzando anche la sabbia; quando il vento trova degli anfratti nella roccia vi si infila e comincia a erodere, creando dei buchi che possono diventare anche enormi e generando delle strutture di roccia che assomigliano a degli imponenti archi.
La strada che percorre il parco costeggia delle immense formazioni di roccia rossa visibilmente erose dall'azione del vento e passa accanto a numerosi monumenti naturali come "the Three Gossips", tre rocce che sembrano 3 signore che chiacchierano, o "the Balanced Rock" che sta in bilico su uno spuntone o ancora "the Elephant Parade" che sembra una processione di enormi elefanti rossi. Decidiamo che vale la pena fare un sentiero e, non conoscendo il parco, ne scegliamo uno che per lunghezza e tempi di percorrenza è compatibile con le nostre esigenze di orario; la scelta cade quindi sulla zona denominata "The Windows Section" e scegliamo il sentiero che porta alla finestra sud e a quella nord. Le finestre, in realtà, non sono altro che enormi buchi in delle rocce che sembrano rimaste in piedi solo per mostrarceli. Arriviamo al parcheggio da cui parte il sentiero e dopo aver penato un po' per trovare un posto per la macchina, ci armiamo di macchine fotografiche, giubbotto e crema solare e ci incamminiamo sul sentiero verso gli archi. Già di fronte a noi si scorgono le grandi rocce bucate che si stagliano sopra l'orizzonte e che invitano ad avvicinarci, come se ce ne fosse bisogno. Giriamo intorno agli archi e facciamo molte foto; anche se dal parcheggio sembrava che ci fosse troppa gente, in realtà nei percorsi che abbiamo fatto noi eravamo praticamente soli. Le rocce rosse e gli immensi buchi immersi in un deserto roccioso che si perde all'orizzonte non possono lasciare indifferenti e noi, stupìti e emozionati come al solito, percorriamo il sentiero che conduce tutto intorno alla "North Window" con la curiosità di due bambini che scoprono il mondo. Guardandoci intorno ci è ancora più chiara la fortuna che abbiamo avuto ad essere in quel posto con una giornata che finalmente è diventata bella, con l'aria limpida e il sole che splende ormai basso sull'orizzonte, offrendo una luce che evidenzia i bellissimi colori dell'altopiano delle montagne rocciose.
Dopo oltre un'ora di passeggiata risaliamo in macchina, decisi a continuare il nostro tour del parco per percorrerlo tutto almeno in macchina. Decidiamo che saremmo andati a vedere il famoso "Delicate Arch", così chiamato perché è evidente che regge l'anima coi denti e che sarà ammirabile ancora per poco tempo. Il Delicate Arch è raggiungibile attraverso un sentiero lungo oltre 2 Km che sale fino alla sua base e che richiederebbe minimo due ore per andare e tornare; poiché non avevamo tutto quel tempo e cominciavamo ad essere affamati, ci siamo accontentati di arrivare in macchina fino al "Lower Delicate Arch Viewpoint" e percorrere il breve sentiero in salita fino all'"Upper Viewpoint", che offre una vista da lontano sull'arco delicato. Ancora il tempo di qualche foto e poi, stanchi di camminare e appagati dal singolare spettacolo offerto da tutte quelle rocce, decidiamo di ripartire alla volta di Monticello, dove il nostro motel ci aspettava.
Erano passate le 5 del pomeriggio e il tempo stava peggiorando di nuovo, mentre il nostro stomaco ci ricordava che la colazione da Denny's della mattina ormai era solo un ricordo. Passando per Moab ci concediamo quindi una sosta, prima al supermercato per rifornirci di acqua e rimpinzare le riserve con qualche schifezza da mangiare, poi al Burger King lungo la strada principale per soddisfare lo stomaco che brontolava da tempo. La strada che da Moab porta a Monticello ci ha mostrato di nuovo un tratto di deserto dell'altopiano delle montagne rocciose, questa volta illuminato dal sole al tramonto. Arriviamo a Monticello un'ora dopo, quando ormai il sole è calato sotto l'orizzonte e facciamo il check in al motel che avevamo prenotato. Il tizio alla reception ci squadra da capo a piedi e ci dice: "Lo sapete che c'è un solo letto matrimoniale, vero?"; noi non lo sapevamo ma rispondiamo "Certo, non è un problema", visto che non era un problema in ogni caso. Guardandoci ancora peggio il tizio ci da le chiavi e ci saluta in modo strano. Prima delle 20 eravamo già in camera pronti a dormire in quello sperduto paese delle Utah, pronti alla levataccia della mattina dopo. La sveglia sarebbe suonata alle 5 di mattina per permetterci di partire in tempo ed affrontare una lunga giornata dove avremmo percorso le due tappe più agognate di tutto il viaggio: Monument Valley e Grand Canyon.

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Dodicesimo giorno: siamo a metà del viaggio. Passare dai 45 gradi del deserto al freddo vento delle montagne rocciose in meno di 2 giorni è impegnativo, ma siamo sopravvissuti allo sbalzo. Come al solito la fortuna ci ha assistito: la partenza da Richfield faceva pensare più ad una settimana bianca ma, proprio quando serviva, il tempo (quasi) bello non ha tardato ad arrivare e ci ha accompagnato durante tutto il viaggio di oggi. Fortunatamente, perché l'Arches National Park merita davvero un tour delle sue singolari rocce, ma anche perché durante il tragitto per raggiungerlo si sono aperti di fronte a noi dei paesaggi decisamente maestosi. Come oggi, anche domani la natura sarà meta dei nostri percorsi, con il passaggio dalla Monument Valley e dal Gran Canyon. La giornata sarà lunga e ci prepariamo quindi nel nostro (squalliduccio) motel di Monticello.
Foto del giorno
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